Caricare batterie al litio tramite la ricarica rapida può ridurre in modo permanente la capacità della batteria.
Questo è quanto dimostrato da alcuni ricercatori della Deutsches Elektronen-Synchrotron (DESY).
Gli studi di fluorescenza dimostrano che anche dopo pochi cicli di ricarica, i danni alla struttura interna del materiale della batteria è chiaramente evidente, danno che si verifica più in fretta rispetto a quanto accade durante la carica lenta.
Durante i loro studi più recenti, i ricercatori hanno esposto diversi elettrodi della batteria a venticinque cicli di carica e di scarica, a tre velocità diverse ed hanno poi misurato la distribuzione elementare delle componenti degli elettrodi.
I risultati delle ricerche hanno dimostrato come durante la ricarica rapida gli atomi di manganese e nichel sono dilavati dalla struttura cristallina.
Inoltre si notano veri e propri danni e difetti fisici che vanno a colpire l’elettrodo, infatti si notano chiaramente dei fori con un diametro che raggiunge i 100 micron (0,1 millimetri) sull’elettrodo stesso.
Le aree distrutte ovviamente non saranno più in grado di essere utilizzate per lo stoccaggio di litio. (Nell’immagine vediamo proprio i buchi che si sono formati in seguito a 25 cicli di carica rapida.)
Credit: Ulrike Bösenberg/DESY
Utilizzando il metodo di fluorescenza a raggi X nei loro studi, i ricercatori hanno potuto tranne vantaggio dal fatto che i raggi X possono eccitare elementi chimici in fluorescenza, ossia un’emissione di radiazione a breve termine.
La lunghezza d’onda o energia della radiazione fluorescente è un’impronta caratteristica per ogni elemento chimico. In questo modo, la distribuzione dei singoli materiali nell’elettrodo possono essere determinati con precisione.
Per questo compito, i ricercatori hanno utilizzato un rivelatore a fluorescenza innovativo, di cui esistono solo due esemplari in tutto il mondo attualmente.
Questo rivelatore è costituito da quasi quattrocento singoli elementi che raccolgono la radiazione fluorescente del campione. Grazie all’elevata risoluzione energetica ed alla sensibilità del rivelatore, esso è in grado di localizzare più elementi chimici contemporaneamente.
“E’ la prima volta che riusciamo a vedere così da vicino questi effetti”, dice la Dottoressa Bösenberg, la ricercatrice a capo del progetto, “speriamo di capirli al meglio per poter creare le basi per il miglioramento dei dispositivi di accumulo di energia”.
La domanda che ci poniamo però a questo punto è: Dove vanno a finire gli atomi di nichel e manganese? Spariscono nel nulla?
La risposta della Dottoressa Bösenberg è: “Ci sono indicazioni che il materiale dissolto, almeno in parte, si depositi sull’anodo, questo andrebbe a creare ulteriori danni alle proprietà batteria”.
Visto che la ricarica rapida è ormai inclusa nella maggior parte degli smartphone di ultima generazione, dobbiamo preoccuparci? Certo potevamo già immaginare che l’accumulo di tanta energia nel minor tempo possibile non poteva far bene alla batteria, ma adesso ne abbiamo la conferma.