Molti siti nepalesi hanno confermato una notizia a dir poco, personalmente, vergognosa: PlayerUnknown’s Battlegrounds è stato dichiarato illegale. Non una cosa da poco, dal momento che giocare allo sparatutto Battle Royale di BlueHole è ufficialmente reato. I motivi alla base di questa scelta insensata, anacronistica e, passatemi il termine, ignorante, è l’assuefazione che il titolo provocherebbe negli studenti, allontanandoli dallo studio.
Giocare tutto il giorno ai videogiochi e trascurare i propri impegni è sbagliato? Assolutamente si, ma la colpa non è da imputare al medium videoludico ma all’uso errato che se ne fa. Dovrebbero essee le singole persone a regolarsi, dedicandosi a questa passione un numero di ore tali da non intaccare i propri compiti, in questo caso lo studio.
Questa scelta assolve in un certo senso gli allievi negligenti incolpando lo sviluppatore che di fatto ha solo fatto il proprio lavoro. Non è la prima volta che tali iniziative contro alcuni videogames si trasformano in leggi a tutti gli effetti, e questo tipo di censura così aggressiva è tipica dei Paesi incapaci di comprendere a fondo le tematiche relative al mondo videoludico.Dovrebbero essere i genitori e gli educatori ad evidenziare l’importanza di dare, nella propria vita, delle priorità alle proprie attività, in modo tale che i ragazzi siano poi in grado di autoregolarsi.
Proibire in modo preventivo e proibizionista non insegna nulla. Alcuni psicologici nepalesi avrebbero inoltre additato al gioco la nascita di comportamenti aggressivi negli individui più giovani, a causa della violenza espressa nel titolo. Trascurando l’importante funzione catartica dei videogiochi, in grado di costituire una valvola di sfogo, con questo criterio andrebbero bandite tutte le manifestazioni artistiche che celebrano la violenza, dai film ai dipinti. E la cosa mi sembra alquanto stupida.