Il nuovo Nothing Phone (3a) Lite fa il suo ingresso sul mercato con una caratteristica inedita e, per molti versi, preoccupante per gli affezionati del brand.
Per la prima volta nella sua storia, un dispositivo Nothing arriva negli scaffali con del software precaricato di terze parti, il cosiddetto bloatware.
Si tratta di applicazioni e servizi non essenziali per il funzionamento del telefono, che l’utente non ha richiesto e che occupano memoria e risorse.
Questa mossa segna una significativa deviazione dalla filosofia di purezza e trasparenza che ha finora contraddistinto l’azienda fondata da Carl Pei.
A sollevare il caso sono state le analisi condotte dai colleghi di 9to5Google, che hanno esaminato da vicino il dispositivo.
Oltre alle applicazioni standard del sistema operativo Android, sul Nothing Phone (3a) Lite sono preinstallati diversi software di proprietà del colosso dei social media Meta.
L’elenco completo delle applicazioni indesiderate include i social network Facebook, Instagram e TikTok.
A questi si aggiungono tre servizi di sistema sempre forniti da Meta, che operano in background: Meta App Installer, Meta App Manager e Meta Services.
La presenza simultanea di tre piattaforme social così invasive e dei loro servizi di supporto rappresenta un carico non indifferente per un dispositivo che punta sull’essenzialità.
Il problema vero: i servizi Meta che non si possono rimuovere
Se da un lato le applicazioni come Facebook, Instagram e TikTok possono essere disinstallate dall’utente, seppur con un fastidioso passaggio aggiuntivo, la situazione è ben diversa per i servizi di sistema.
I tre componenti Meta App Installer, Meta App Manager e Meta Services sono infatti impossibili da rimuovere.
All’utente viene concessa, nella migliore delle ipotesi, la possibilità di disabilitarli, ma i file rimangono fisicamente presenti nella memoria interna del telefono.
Questo significa che, anche se non attivi, continuano a occupare spazio di archiviazione prezioso, in un modello che probabilmente sarà disponibile in configurazioni di memoria non proprio generose.
È una pratica comune in molti smartphone di fascia bassa e media, ma che stride fortemente con l’identità di Nothing, finora basata su un’esperienza utente pulita e senza compromessi.
Una scelta giustificabile o un tradimento della filosofia aziendale?
I sostenitori di questa scelta potrebbero argomentare che si tratta di app estremamente popolari, che la stragrande maggioranza degli acquirenti avrebbe installato comunque.
Tuttavia, questo ragionamento presenta diverse falle logiche.
Innanzitutto, non è detto che un utente desideri avere tutti e tre i social network principali sul proprio dispositivo.
In secondo luogo, anche qualora lo volesse, la prerogativa di scelta dovrebbe rimanere nelle mani del consumatore, non del produttore.
L’imposizione di un software, specialmente quando legato a servizi di tracciamento e raccolta dati come quelli di Meta, rappresenta una limitazione della libertà dell’utente.
Per Nothing, che ha costruito la sua immagine sul design trasparente e su un’interfaccia utente snella e personalizzata, questa è una mossa che rischia di minare la fiducia della sua base di fan più fedele.
Solleva anche interrogativi sulle strategie future: questa è un’eccezione limitata al modello (3a) Lite o un pericoloso precedente per tutta la gamma di prodotti?
Le implicazioni per il mercato e la trasparenza verso i consumatori
La decisione di Nothing di imbarcarsi sulla strada del bloatware è probabilmente dettata da ragioni economiche.
I produttori spesso ricevono compensi dalle aziende software per preinstallare le loro app, una pratica che aiuta ad abbassare il prezzo finale del dispositivo, specialmente in segmenti di mercato molto competitivi come quello dei telefoni economici.
Tuttavia, questa giustificazione commerciale si scontra con il principio di trasparenza.
I consumatori hanno il diritto di sapere cosa c’è nel prodotto che acquistano e di avere il controllo completo su di esso.
La presenza di servizi non rimovibili, anche solo in forma dormiente, crea un precedente pericoloso e normalizza una pratica che andrebbe contrastata.
Il rischio è che altri brand, che magari guardavano a Nothing come a un esempio di integrità, possano ora sentirsi giustificati nel seguire la stessa strada, peggiorando l’esperienza d’uso per tutti.
