L’impegno della Cina nel rimboschimento interno e nelle energie rinnovabili è universalmente riconosciuto.
Tuttavia, un crescente corpo di ricerche internazionali sta portando alla luce un paradosso preoccupante: mentre Pechino abbellisce il proprio territorio, la sua domanda di materie prime agricole e legname starebbe alimentando la distruzione illegale delle foreste tropicali in Sud America, Africa e Sud-est asiatico.
Gli studi rivelano un sistema di controlli lacunoso e un impatto ambientale devastante, che mette in discussione la reale portata della leadership verde cinese sul palcoscenico globale.
I numeri choc delle importazioni e i controlli mancati
Un’indagine dell’Environmental Investigation Agency del 2018 ha scoperto che solo un terzo delle spedizioni di legname tropicale dal Perù verso la Cina veniva adeguatamente ispezionato.
E, tra quelle effettivamente controllate, il 70% proveniva da terreni deforestati illegalmente.
Questo dato è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno sistemico.
Un altro studio, pubblicato nel maggio scorso dalla organizzazione no-profit Forest Trends, ha quantificato l’impronta ecologica di queste importazioni su un decennio.
Tra il 2013 e il 2022, le importazioni cinesi di prodotti legati alla deforestazione – come soia, carne bovina, legname, olio di palma e cacao – sono state collegate alla perdita di circa 4 milioni di ettari di foresta tropicale.
La parte più allarmante? Quasi il 70% di questa deforestazione, pari a 2,8 milioni di ettari, è avvenuta al di fuori della legge dei paesi d’origine.
Emissioni nascoste e un “punto cieco” nella politica ambientale
Le conseguenze vanno ben oltre la perdita di biodiversità.
Lo studio di Forest Trends ha calcolato che le emissioni di gas serra generate dalla produzione e dal trasporto di queste merci sono state enormi, paragonabili alle emissioni annuali da combustibili fossili di un’intera nazione industrializzata come la Spagna.
Kerstin Canby, senior director di Forest Trends, ha definito questa dinamica un “punto cieco critico” nella politica ambientale cinese.
“La Cina è un leader globale nel rimboschimento domestico e nell’energia rinnovabile, ma questo rapporto evidenzia il costo ambientale nascosto delle sue materie prime agricole e del legname importato”, ha dichiarato Canby in un comunicato stampa.
L’effetto domino: proteggere i propri boschi, distruggere quelli altrui
In un’intervista, Canby ha approfondito il paradosso.
Ha notato che i robusti programmi di rimboschimento e protezione forestale attuati dalla Cina, e da molti paesi sviluppati, hanno creato un effetto domino negativo.
La domanda di materie prime si è semplicemente spostata verso paesi con governance più debole e minori tutele ambientali, come il Perù, il Brasile o i paesi del bacino del Congo.
“La Cina è stata una stella, ma questo ha avuto effetti a catena”, ha spiegato Canby.
“Tutti cercano di proteggere le proprie foreste, ma tutto ciò che fa è spingere la domanda verso quei paesi che hanno la minore quantità di governance, quelli che non stanno attuando protezioni per le proprie foreste”.
Il volto umano del commercio: il porto di Chancay e le case che tremano
Le statistiche sulla deforestazione trovano un riscontro concreto e drammatico nelle comunità locali toccate dall’espansione delle infrastrutture legate al commercio.
A Chancay, in Perù, dove un megaporto finanziato da capitali cinesi è in costruzione, residenti come Roxana Arce vivono sulla pelle le conseguenze di questo sviluppo.
Dal suo studio panoramico, Arce, che dipinge paesaggi della costa, può quasi toccare le reti di protezione montate fuori dalle mura di casa sua per tenere lontana la polvere e i detriti dei cantieri.
Non è servito a molto.
Ogni giorno, camion carichi di materiale sconosciuto rimbombano e sostano all’ingresso del porto, a trenta metri dalla sua porta di casa.
Lei e i suoi vicini non sanno cosa trasportino esattamente, né hanno calcolato i danni del loro carico, ma temono che i problemi della città peggioreranno con l’espansione del porto nelle sue fasi due e tre nei prossimi anni, e con la costruzione di nuove strade e ferrovie di servizio.
“Non c’è spazio per le persone che vivono qui. Dovremmo andarcene. Chi caccieranno dalle loro case?”, si chiede Arce, anticipando la prossima battaglia della comunità.
La sua preoccupazione più immediata sono le crepe che continuano ad allungarsi sui muri della casa in cui vive da quando era bambina, e la paura che le fondamenta possano cedere un giorno.
Qualcuno ha scherzato sul fatto che dovrebbe chiedere un risarcimento ai cinesi, magari una delle nuove auto elettriche che arrivano via nave.
Arce ha accennato un sorriso sarcastico, guardando l’oceano, quella sera piatto e calmo.
“O una casa nuova”, ha detto.
Questo articolo è originariamente apparso su Inside Climate News, un’organizzazione giornalistica non profit e apartitica che si occupa di clima, energia e ambiente.
