Un’email del 2012 rivela il timore interno a Facebook riguardo alla minaccia esistenziale rappresentata dalle app di messaggistica mobile.
Peter Deng, ex dirigente prodotto del social network, aveva avvertito i colleghi del pericolo, definendolo “la più grande minaccia mai vista in 5 anni”, superiore persino a Google+.
La testimonianza emerge nell’ambito delle indagini antitrust contro Meta, l’azienda madre di Facebook.
L’allarme di Peter Deng: “Strategia credibile basata sui contatti più intimi”
Nell’ottobre 2012, Deng scrisse ai colleghi un’email in cui analizzava la crescita delle app concorrenti, sottolineando come stessero “partendo dal grafo sociale più intimo”, ovvero i contatti con cui si chatta di più.
A differenza dei social tradizionali, queste piattaforme puntavano a costruire relazioni partendo dalle interazioni one-to-one, minacciando il core business di Facebook.
Deng ha precisato di riferirsi a tre app specifiche, escluse WhatsApp, poi acquisita da Facebook nel 2014 per 19 miliardi di dollari.
Il confronto con Google+ e la reazione di Meta
L’ex dirigente paragonò la situazione al lancio di Google+, il fallito social network di Alphabet, affermando che il pericolo delle app di messaggistica era “ben più grande”.
La mail è diventata rilevante nel contesto delle accuse di pratiche anticoncorrenziali mosse a Meta, accusata di aver acquisito WhatsApp e Instagram per neutralizzare rivali.
Fonti interne rivelano che l’azienda monitorava con preoccupazione l’ascesa di Snapchat, Viber e Line, considerate potenziali “killer di Facebook” negli anni 2010-2013.
L’evoluzione del mercato e le conseguenze antitrust
Le dichiarazioni di Deng gettano luce sulla strategia di Meta, che tra il 2012 e il 2014 ha investito miliardi in acquisizioni per controllare il settore della messaggistica.
Oggi WhatsApp conta oltre 2 miliardi di utenti globali, mentre il caso antitrust potrebbe portare a sanzioni o addirittura allo smembramento del gruppo.
Esperti legali sottolineano come queste rivelazioni possano rafforzare le accuse di posizione dominante, con Meta che rischia multe fino al 10% del fatturato globale.