Nel panorama politico dell’Unione Europea, le grandi aziende tecnologiche stanno intensificando in modo significativo le loro operazioni di lobbying. Un recente rapporto congiunto di Corporate Europe Observatory e LobbyControl svela un quadro finanziario in forte crescita, con l’industria digitale che ha aumentato la sua spesa complessiva da 131 milioni di euro nel 2023 a 151 milioni di euro nel 2025, un balzo del 33,6% in soli due anni. In questo contesto, Apple si conferma un attore di primissimo piano, attestandosi tra i primi dieci lobbisti con un investimento annuo di 7 milioni di euro. L’obiettivo dichiarato di questa poderosa macchina di influenza è plasmare a proprio favore le regolamentazioni chiave, dall’intelligenza artificiale al Digital Markets Act, in un momento cruciale per il futuro del mercato digitale europeo.
La classifica dei maggiori investitori vede Apple in una posizione di grande rilievo, al secondo posto e a pari merito con colossi come Microsoft e Amazon. A guidare la speciale graduatoria è Meta, con una spesa di 10 milioni di euro, mentre altre realtà come Qualcomm e Google si fermano a 4,5 milioni di euro ciascuna. L’impegno finanziario di Apple rappresenta un’evoluzione importante rispetto al recente passato: un’analisi condotta nel 2021, infatti, quantificava la sua spesa annuale per le attività di pressione in un range tra i 3,5 e i 3,75 milioni di euro. L’attuale cifra di 7 milioni segna quindi un raddoppio, testimoniando una strategia più aggressiva e strutturata per dialogare con le istituzioni comunitarie.
L’Accesso Privilegiato ai Decisori Europei
I capitali investiti si traducono in un accesso diretto e continuativo ai più alti livelli decisionali di Bruxelles. L’analisi degli incontri tra i giganti del tech e gli alti funzionari della Commissione europea, relativa al periodo gennaio-giugno 2025, fornisce un’istantanea eloquente di questa influenza. Amazon risulta l’azienda più presente con 43 incontri, seguita da Microsoft con 36 e Google con 35. Apple, con 29 incontri ufficiali registrati, si posiziona davanti a Meta, ferma a 27. Questo fitto calendario di appuntamenti non è casuale, ma ruota attorno a temi ben precisi e di cruciale importanza per il settore.
L’argomento dominante è stato, senza dubbio, l’intelligenza artificiale, citata in ben 58 incontri distinti. A seguire, si sono discussi i data center e i servizi cloud (23 occasioni), e normative cardine come il Digital Services Act (17 menzioni) e il Digital Markets Act (16 menzioni). Quest’ultimo, in particolare, è di estremo interesse per Apple, in quanto impone restrizioni e obblighi specifici per le aziende designate come “guardiani del gate”, categoria in cui la multinazionale di Cupertino rientra a pieno titolo. Anche il dibattito sul futuro Digital Fairness Act ha catturato una rilevante attenzione.
Una Strategia a 360 Gradi: Dai Ministri ai Consulenti Esterni
L’attività di pressione non si limita alla sola Commissione, ma si estende anche al Parlamento europeo. Nella prima metà del 2025, si sono tenuti 232 incontri con i ministri, a cui le aziende tecnologiche hanno partecipato attivamente. In questa arena, Meta ha registrato il numero più alto di interazioni con 63 incontri, seguita da Amazon con 49. Apple e Google hanno preso parte a 47 di questi incontri ciascuna, consolidando ulteriormente la loro presenza nell’ecosistema legislativo europeo. Oltre all’impegno diretto, le società si avvalgono di una fitta rete di società di consulenza per amplificare i loro messaggi e la loro influenza.
La spesa totale per queste attività esterne si aggira intorno ai 9 milioni di euro annui. Anche in questo caso, Apple gioca un ruolo da protagonista, avendo destinato 2,3 milioni di euro a queste consulenze, una cifra leggermente inferiore ai 2,84 milioni di euro spesi da Amazon. Questo approccio multicanale – che combina incontri diretti con i decisori e l’utilizzo di lobbisti professionisti – permette alle Big Tech di veicolare le proprie posizioni in modo pervasivo su tutti i fronti in cui si discute e si decide il futuro normativo.
Il rapporto di Corporate Europe Observatory e LobbyControl non si limita a descrivere i numeri, ma avanza una critica severa, interpretando questa massiccia operazione di lobbying come un meccanismo per consolidare le posizioni di monopolio e come una seria minaccia ai diritti digitali dei cittadini europei. Gli autori del studio mettono in guardia da quella che definiscono una “miscela tossica che minaccia anni di progressi” nella regolamentazione del potere tecnologico. La pressione delle aziende si inserisce, inoltre, in un contesto geopolitico complesso, dove gli Stati Uniti criticano apertamente le politiche digitali dell’UE. L’influenza, si legge nel rapporto, sortisce effetti reali e tangibili: le pressioni dell’amministrazione Trump, ad esempio, hanno indotto l’Unione Europea a valutare una riduzione delle sanzioni contro Apple. L’esortazione finale è un monito affinché la Commissione europea continui a contrastare questa influenza pervasiva e a rafforzare la propria struttura legislativa digitale, preservandone l’indipendenza e l’efficacia.
