Le dichiarazioni trionfalistiche del Cremlino sul nuovo missile balistico intercontinentale RS-28 Sarmat, soprannominato “Satan II” dalla NATO, si scontrano con una realtà fatta di test fallimentari e ritardi. Presentato come il pilastro del futuro deterrente nucleare russo, destinato a sostituire i vetusti vettori di epoca sovietica, il programma è infatti alle prese con una serie di insuccessi tecnici che ne minano l’affidabilità e rimandano la piena operatività. L’ultimo episodio, un’esplosione durante un lancio di prova la scorsa settimana, solleva interrogativi cruciali sullo stato di prontezza dell’arsenale strategico di Mosca e sulle capacità dell’industria della difesa russa di portare a termine progetti così complessi in un contesto di sanzioni internazionali.
Il presidente russo Vladimir Putin ha definito il Sarmat un’arma “veramente unica” che “darà da pensare a coloro che, nel calore di una frenetica retorica aggressiva, cercano di minacciare il nostro paese”. Dichiarazioni simili erano arrivate da Dmitry Rogozin, all’epoca capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, che dopo il primo volo di prova nel 2022 aveva parlato di una “superarma”. La retorica ufficiale dipinge il missile, con una gittata stimata di 18.000 chilometri e una testata capace di trasportare fino a 15 veicoli di rientro indipendenti, come un sistema imbattibile in grado di eludere qualsiasi difesa missilistica.
Tuttavia, la storia operativa del Sarmat racconta una narrazione diversa, segnata da battute d’arresto. Dopo un primo test apparentemente riuscito nell’aprile 2022, il programma ha subito una serie consecutiva di fallimenti. Il più grave risale allo scorso anno, quando un’esplosione catastrofica distrusse il silos sotterraneo del missile nel nord della Russia, probabilmente nella base di Plesetsk. L’incidente della scorsa settimana, avvenuto presso il cosmodromo di Dombarovsky nella regione di Orenburg, sembra essere l’ultimo di questa serie.
L’ombra del fallimento e l’incertezza sul missile testato
Il video dell’esplosione, diffuso online, non ha una risoluzione sufficiente a confermare con assoluta certezza se si trattasse di un Sarmat o del più vecchio modello R-36M2, che il nuovo missile dovrebbe rimpiazzare. Tuttavia, gli analisti concordano sul fatto che sia molto più probabile un test del nuovo sistema. Il silos utilizzato per la prova di venerdì era stato recentemente rinnovato, forse proprio per convertirlo al supporto dei test del Sarmat dopo la distruzione del sito di lancio settentrionale.
“I lavori lì sono iniziati nella primavera del 2025, dopo il disgelo”, ha scritto su X Etienne Marcuz, analista di armamenti strategici della Fondazione per la Ricerca Strategica, un think tank francese. La “ristrutturazione urgente” del silos a Dombarovsky supporta l’ipotesi che l’incidente della scorsa settimana abbia coinvolto il Sarmat, e non l’R-36M2, il cui ultimo test risale a più di dieci anni fa. “Se questo è davvero un altro fallimento del Sarmat, sarebbe altamente dannoso per il futuro a medio termine del deterrente russo”, ha proseguito Marcuz. “I missili R-36M2 che invecchiano, i quali trasportano una parte significativa delle testate strategiche russe, vedono il loro rimpiazzo ulteriormente rinviato, mentre la loro manutenzione – gestita in precedenza dall’Ucraina fino al 2014 – rimane altamente incerta”.
Questa analisi trova d’accordo Pavel Podvig, ricercatore esperto di armamenti nucleari che gestisce il sito Russian Nuclear Forces. Con i missili R-36M2 prossimi al ritiro, “è estremamente improbabile che le Forze Missilistiche Strategiche russe vorrebbero testarli”, ha scritto Podvig sul suo sito. “Rimane il Sarmat”. Il Ministero della Difesa russo ha sempre sottolineato che l’RS-28 è un “prodotto esclusivo della cooperazione industriale russa”, un punto cruciale dato che la flotta di R-36M2 che deve sostituire è stata costruita in epoca sovietica in Ucraina.
Le implicazioni per la deterrenza strategica russa
Il fallimento aggiunge un’ulteriore incertezza sulla prontezza dell’arsenale nucleare russo. Se si trattasse di un test di uno dei vecchi ICBM, il risultato solleverebbe gravi interrogativi sul degrado dell’hardware e sull’obsolescenza dei sistemi ereditati dall’URSS. Nel caso, più probabile, di un volo di prova del Sarmat, si tratterebbe invece dell’ultimo di una serie di problemi che ne ritardano l’entrata in servizio dal 2018, anno in cui era inizialmente prevista.
Le Forze Missilistiche Strategiche russe si trovano quindi in una posizione delicata. Da un lato, devono mantenere operativa una flotta di missili pesanti R-36M2, la cui manutenzione post-2014 – con la rottura dei legami industriali con l’Ucraina – presenta sfide non trascurabili. Dall’altro, il programma che dovrebbe garantire la continuità della triade nucleare terrestre è in affanno. Ogni ritardo o fallimento del Sarmat prolunga la finestra di vulnerabilità e aumenta la pressione su un sistema di deterrenza che Mosca considera fondamentale per il suo status di grande potenza e per la sua sicurezza nazionale.
La vicenda del Sarmat non è solo una questione tecnica, ma anche politica e di percezione. Il missile è stato uno dei “superarmi” annunciate da Putin nel 2018 in risposta allo sviluppo di scudi antimissile da parte degli Stati Uniti. La sua difficoltà a diventare pienamente operativo rischia di minare il messaggio di potenza tecnologica e di inevitabile superiorità che il Cremlino vuole proiettare, soprattutto in un periodo di conflitto in Ucraina e di confronto strategico con l’Occidente. Il futuro a medio termine del deterrente nucleare russo dipende, in buona parte, dalla capacità di risolvere i problemi del suo missile più temuto e, finora, più sfuggente.
