Il caso legale che vede Apple opporsi al noto leaker Jon Prosser per la fuga di notizie su iOS 26 registra una svolta decisiva.
Michael Ramacciotti, co-imputato nel procedimento, ha depositato la sua memoria difensiva ufficiale, nella quale non solo nega l’esistenza di un complotto coordinato, ma addossa le responsabilità iniziali a un ex dipendente della Mela.
Secondo quanto dichiarato, sarebbe stato proprio l’ex ingegnere Apple Ethan Lipnik a mostrargli per primo, settimane prima dei fatti contestati, le innovazioni del sistema operativo futuro.
Questa rivelazione potrebbe stravolgere completamente le dinamiche dell’accusa.
La ricostruzione dei fatti nella memoria difensiva
La difesa di Michael Ramacciotti, formalizzata in un documento presentato al tribunale, ammette alcuni elementi di fatto ma ne fornisce una lettura radicalmente diversa da quella dell’accusa.
Ramacciotti conferma di aver avuto accesso fisico a un iPhone di sviluppo e di aver effettuato la videochiamata con il giornalista Jon Prosser durante la quale sono state mostrate le funzionalità di iOS 26.
Tuttavia, contesta fermamente l’ipotesi di aver tracciato la posizione di Ethan Lipnik per impossessarsi del dispositivo.
Il fulcro della sua strategia difensiva ruota attorno a un incontro avvenuto diverse settimane prima della chiamata incriminata.
In quell’occasione, lo stesso Lipnik si sarebbe seduto con l’imputato e gli avrebbe volontariamente mostrato le nuove funzioni del sistema operativo in fase di sviluppo.
Gli avvocati di Ramacciotti sostengono che questo gesto, compiuto dal legittimo proprietario del telefono, abbia indotto il loro assistito a sottostimare la riservatezza del software, percependolo come meno sensibile di quanto non fosse in realtà.
Il pagamento e la registrazione: le negazioni dell’accusato
Oltre a ribaltare la narrazione sull’origine delle informazioni, la difesa affronta anche le altre accuse.
Riguardo al compenso di 650 dollari ricevuto da Prosser, Ramacciotti fornisce una versione chiara: il pagamento gli sarebbe stato offerto successivamente alla videochiamata e senza un accordo economico prestabilito.
Questa precisazione mira a smontare la qualifica di attività coordinata a fini di lucro, elemento cruciale per l’accusa.
Nella sua deposizione, l’uomo dichiara inoltre di non aver mai richiesto un compenso e di non essersi aspettato di riceverne uno.
Un altro tassello importante riguarda la registrazione della videochiamata.
Ramacciotti afferma con decisione di non essere stato a conoscenza del fatto che Jon Prosser stesse registrando la loro conversazione.
Questa mancanza di consapevolezza, se accertata, potrebbe influenzare il giudizio sulla sua condotta e sulle sue intenzioni.
Le implicazioni per Apple e la guerra alle fughe di notizie
Questa nuova ricostruzione, se provata, metterebbe in luce una vulnerabilità interna per Apple, spostando parzialmente il focus dal mondo esterno dei leaker a quello dei suoi stessi dipendenti.
La figura di Ethan Lipnik diventa centrale non più solo come vittima di un presunto furto di dati, ma come possibile fonte primaria della divulgazione.
La strategia di Cupertino di perseguire legalmente i leaker con azioni aggressive, come questa contro Prosser e Ramacciotti, è un pilastro della sua lotta per il controllo delle informazioni.
Tuttavia, un episodio del genere evidenzierebbe la difficoltà di controllare completamente i flussi informativi anche all’interno dei propri confini aziendali.
La vicenda solleva interrogativi sui protocolli di sicurezza e sulla cultura aziendale riguardo alla gestione dei dispositivi prototipo e dei software in sviluppo.
Per l’azienda di Cupertino, garantire la massima segretezza sui prodotti in lavorazione, come il futuro iOS 26, è vitale per mantenere l’impatto sorpresa durante i lancio e un vantaggio competitivo sul mercato.
La battaglia legale è appena entrata in una nuova fase.
La difesa di Ramacciotti ha gettato un sasso nello stagno, costringendo a riesaminare la catena degli eventi che ha portato alla fuga di notizie.
Apple dovrà ora valutare come controbattere a queste affermazioni, che potrebbero potenzialmente assolvere i leaker esterni da una parte delle responsabilità, indicando invece una negligenza interna come causa scatenante.
Il caso continua a rappresentare un banco di prova cruciale per le politiche di zero tolleranza verso le fughe di notizie nell’industria tecnologica.
