In un connubio che definisce lo spirito dei nostri tempi, l’avanguardia dell’intelligenza artificiale e la cultura virale della Generazione Alpha si sono incontrate su un terreno comune: l’assenza di significato. Il CEO di OpenAI, Sam Altman, ha infatti annunciato tramite un post sulla piattaforma X che la futura evoluzione del suo celebre chatbot, atteso come ChatGPT 6, potrebbe chiamarsi GPT 6-7. La scelta, potenzialmente provocatoria, non è casuale: si sovrappone perfettamente alla decisione di Dictionary.com di eleggere l’espressione “6 7” come Parola dell’Anno 2025. Questo parallelismo crea un legame profondo e paradossale tra la frontiera della tecnologia del linguaggio e un termine la cui essenza è proprio la negazione di un significato stabile e condiviso.
L’annuncio di Altman ha immediatamente catturato l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori, generando un acceso dibattito. Da un lato, si discute la plausibilità tecnica di un aggiornamento così denominato; dall’altro, ci si interroga sulle intenzioni del leader di OpenAI. L’ipotesi più accreditata è che si tratti di un abile gesto di marketing, un modo per allineare il brand di uno dei prodotti più innovativi del momento con un fenomeno culturale di massa. Tuttavia, non si può escludere che sia una presa di posizione più filosofica, un riconoscimento del fatto che il linguaggio umano, nella sua espressione più contemporanea e giovanile, sta evolvendo verso forme sempre più sfuggenti e contestuali.
L’Ascesa Virale di “6 7”: Da TikTok a Parola dell’Anno
Per comprendere appieno la portata della mossa di Altman, è necessario addentrarsi nell’universo da cui proviene l’espressione “6 7”. Pronunciata distintamente “sei-sette”, questa locuzione ha conosciuto una rapida e inarrestabile ascesa grazie alla sua diffusione capillare su piattaforme come TikTok e Instagram. Il fenomeno deve la sua popolarità esplosiva a diversi fattori concatenati: la canzone “Doot Doot (6 7)” dell’artista Skrilla, che ne ha fatto il proprio tormentone, e una serie inarrestabile di meme che hanno visto protagonisti atleti di basket e un personaggio virale noto come “67 Kid”.
Questo gergo si è rapidamente radicato nel vocabolario della Generazione Alpha, diventando un vero e proprio codice generazionale. La sua adozione ha generato un forte senso di smarrimento tra genitori e insegnanti, i quali si trovano a fronteggiare un linguaggio volutamente elusivo e caotico. La natura stessa di “6 7” sfida ogni tentativo di classificazione, poiché non possiede una definizione univoca. Le ipotesi sul suo significato spaziano da un generico “così così” a un più filosofico “forse questo, forse quello”, ma la realtà, come confermato dagli stessi lessicografi di Dictionary.com, è che nessuno conosce la sua vera accezione.
Il Significato dell’Assenza di Significato
Il punto centrale di “6 7” risiede proprio nella sua intrinseca ambiguità. Il termine non è concepito per veicolare un’informazione precisa, ma per essere una battuta scherzosa, un commento fuori contesto che incarna alla perfezione il metodo comunicativo della gioventù contemporanea. La sua funzione primaria è creare un momento di gioco linguistico e di condivisione di un codice interno al gruppo. L’espressione verbale si completa quasi sempre con un gesto manuale specifico: entrambi i palmi delle mani si rivolgono verso l’alto e si muovono alternativamente su e giù, come a pesare due opzioni invisibili.
Questa componente gestuale è fondamentale, in quanto rappresenta fisicamente i concetti di incertezza, bilanciamento e assenza di una risposta concreta. Tale caratteristica segna una netta distanza rispetto ad altri neologismi nati online, i quali, col tempo, tendono a cristallizzarsi verso un significato stabile. “6 7”, al contrario, celebra la sua stessa vacuità semantica come forma di espressione, rendendolo un fenomeno unico e profondamente rappresentativo di un’epoca.
Il Paradosso di OpenAI: Linguaggio Perfetto contro Assenza di Senso
La dichiarazione di Sam Altman acquisisce in questo contesto una risonanza culturale e quasi filosofica. Il fatto che il leader dell’azienda che più di ogni altra lavora per creare sistemi di intelligenza artificiale in grado di comprendere, elaborare e generare linguaggio umano in modo sempre più perfetto faccia riferimento a un’espressione che significa letteralmente “niente” è una circostanza di straordinario spessore. Si crea un paradosso evidente: da un lato, si spingono i confini della comprensione del linguaggio; dall’altro, si omaggia una forma di comunicazione che della incomprensibilità fa il suo tratto distintivo.
Questa situazione solleva interrogativi cruciali sull’evoluzione del linguaggio e sul ruolo dell’intelligenza artificiale. I modelli linguistici di grandi dimensioni, come quelli sviluppati da OpenAI, sono addestrati su enormi corpus di testo che includono anche il linguaggio di internet e dei social media. Ciò significa che GPT 6-7, qualora il nome venisse confermato, potrebbe essere stato esplicitamente progettato o addestrato per interfacciarsi anche con queste nuove, elusive forme di espressione. La domanda che sorge spontanea è: un’IA può davvero comprendere un concetto il cui scopo è non essere compreso?
La coincidenza temporale tra l’annuncio di Altman e la nomina di Dictionary.com, quindi, non è solo una curiosità. È un potente commentario sullo stato della comunicazione umana nell’era digitale. Dimostra come la massima sofisticazione tecnologica nel campo del linguaggio non possa prescindere dal dialogare e, in un certo senso, dal riflettersi nelle sue manifestazioni più popolari e apparentemente insignificanti. Che si tratti di uno scherzo o di una strategia ponderata, il messaggio è chiaro: il futuro del linguaggio, sia umano che artificiale, sarà un ibrido complesso e affascinante di precisione e ambiguità.
